martedì 4 ottobre 2016

UN BELL'ARTICOLO DI GIANFRANCO MORRA

Non ci può essere religione senza proselitismo. Se credi sul serio nei tuoi valori devi farli conoscere, senza imporli con la forza


Una profonda lezione ci è giunta dal viaggio nel Caucaso di Sua Santità Francesco I. Egli aveva annunciato che i vescovi ortodossi avrebbero partecipato alla Santa Messa nella capitale della Georgia, Tbilisi. Invece i vescovi ortodossi non si sono presentati. Inimicizia, maleducazione? Anzi, profonda religiosità. Il Papa aveva detto: «C'è un grosso peccato contro l'ecumenismo. Non si deve mai fare proselitismo». Forse gli ortodossi, pur nel rispetto e anche nella amicizia coi cattolici, considerano inadeguato l'uso che Bergoglio fa delle parole «proselitismo» ed «ecumenismo».
Il proselitismo è la volontà di convertire e di portare gli altri alla propria fede. Non esiste una sola religione che non lo voglia. La fede è la consapevolezza di avere ricevuto una rivelazione che trasforma nell'intimo. Sarebbe narcisismo tenerla per sé, senza parteciparla agli altri: unus christianus nullus christianus. Almeno così la pensava Gesù: «Andate e ammaestrate (euntes docete) tutte le genti (Mt 28,19); «costringili a venire (compelle intrare) perché la mia casa sia piena» (Lc 14, 23).
Certo Bergoglio voleva condannare la violenza, che spesso il proselitismo si è tirata dietro. Ma il proselitismo, quello giusto non quello che impone di «ammazzare gli infedeli» o che nel Sudamerica schiavizzava gli indigeni, è un elemento necessario in ogni religione. Così la pensava anche S. Francesco, il cui viaggio in Egitto viene oggi travisato come dialogo tra religioni diverse. Durante la V crociata egli si imbarcò ad Ancona insieme con i guerrieri, assistette sconcertato alla presa di Damietta e si recò dal sultano Malik al-Kamil (nipote del Saladino) per predicargli il Vangelo e convertirlo. Faceva dunque proselitismo.
Anche l'ecumenismo è un elemento costante in tutte le grandi religioni, che hanno superato i limiti del tribalismo o del nazionalismo. Ma cosa significa questa parola, oggi tanto usata da aver perso un chiaro ed esplicito significato? Deriva dal greco, l'oikouméne è la terra abitata. Ecumenico è ciò che riguarda il mondo intero. Il cristianesimo è da sempre ecumenico: è stata la prima grande globalizzazione religiosa, la sua fede ha cercato di estendersi in ogni parte del mondo. Proselitismo ed ecumenismo sono le due facce della stessa moneta.
Ma dopo il Concilio Vaticano II il termine è stato banalizzato e travisato. Uno dei documenti di quel Concilio, che fu totalmente pastorale, è il «Decreto sull'ecumenismo» che proponeva di «riconciliare tutti i cristiani nella Chiesa di Cristo, una e unica». Riconciliare, non mescolare o confondere. Da un lato i cattolici, dall'altro i «fratelli separati» (cristiani non cattolici). Ma il Postconcilio ha travisato questo progetto, che, in un Occidente sempre più storicista e relativista, rischia di tradursi in un indifferentismo religioso.
Il centro principale di questo pasticcio è stato Assisi con i suoi incontri spettacolari »interreligiosi». Fu lì che nel 1985 nacque l'idea di mettere in scena, nella suggestiva Basilica di Francesco, l'uno vicino all'altro preti di tutte le religioni che invocavano Dio. Papa Wojtyla capì che in tal modo l'ecumenismo degenerava in uno zibaldone e fece una intelligente distinzione: «Non siamo qui per pregare insieme, ma insieme per pregare”. E ognuno prega a modo suo, il suo modo di pregare mostra il suo modo di credere (card. Newman: ordo orandi, ordo credendi).
Purtroppo l'ecumenismo è divenuto un pasticcio e oggi le religioni non di rado si mescolano indifferentemente anche nei luoghi di culto e spesso le chiese divengono, in parte e a tempo, delle moschee. Ma ogni credente ha la sua religione e la sua preghiera, e considera la propria come l'unica pienamente valida.
Nel 1454, appena occupata Costantinopoli dai turchi, il papa Pio II propose di fare una crociata per liberarla. Si recò ad Ancona, da dove dovevano partire le navi veneziane con i crociati. E dove lo raggiunse Nicolò Cusano. Non se fece niente e morirono entrambi. Il grande filosofo aveva mostrato che nelle diverse religioni c'è, in forma diversa, lo stesso bisogno di assoluto, che è di tutti gli uomini e degli uomini soltanto. E che si realizza nella varietà dei riti (non est nisi una religio in rituum varietate). Non pensò mai di mescolarli.
Se ecumenismo significa incontro, rispetto, dialogo, collaborazione tra le religioni diverse per finalità di bene, Bergoglio ha ragione e lo sapevamo da tempo. Ma non servono macedonie di frutta mista, melting pot, sconfessione del passato, buonismo di comodo, fideismo senza cultura o apertura sconclusionata verso un nuovo confuso e spettacolare. Una innovazione senza la tradizione è un salto nel vuoto o nel pieno di una cultura anticristiana, che sommerge la religione facendo finta di ammirarla purché divenga ripetizione subalterna delle sue favole e dei suoi luoghi comuni.
Nova et vetera: senza il nuovo (che non è il quotidiano) c'è sclerosi, senza il vecchio (che non è il passato) c'è superficialità: «Insegna le medesime cose che ti sono state insegnate. Parla con nomi nuovi, ma non dire novità»(Vincenzo di Lérins, Commonitorio, I, 23; Edizioni Paoline).

http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=2120368&codiciTestate=1&sez=hgiornali&testo=&titolo=Non%20ci%20può%20essere%20religione%20senza%20proselitismo.%20Se%20credi%20sul%20serio%20nei%20tuoi%20valori%20devi%20farli%20conoscere,%20senza%20imporli%20con%20la%20forza

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